sabato 3 agosto 2024

Il Sistema delle “Masserie della Pretiosa” nel contesto dei luoghi arcoriani (VI) - L’Infirmaria del Monastero e i suoi beni nei luoghi arcoriani

 

Esempio di una Sala di Degenza

In alcune delle pergamene analizzate in precedenza compare un termine, infirmaria.

Con questo termine si identifica quella parte di Monastero dove venivano tenute, secondo la Regola di S.Benedetto, le persone ammalate (siano esse monaci o pellegrini o lavoranti dello stesso monastero) fino alla loro completa guarigione; la regola stabiliva che vi fosse anche un oratorio ed una cucina nei pressi di questa struttura, alla quale spesso si associava il giardino officinalis dove venivano piante terapeutiche.

La negligenza nella gestione della infirmaria poteva costare caro all’abate (“per annum ab munere suspendatur”) oltre che al Vicario ed al Priore Cellerario (cfr. “D. Patris Benedicti Et Constitutiones Congregationis Montis Oliveti Regula”, Roma, 1573).

Pertanto, ad ognuna di queste veniva associata una rendita costituita da appezzamenti di terreni, case, chiese e quant’altro in modo da garantire una certa autonomia amministrativa derivante dalla gestione di tali beni.

Per l’Infirmaria del Monastero napoletano di S.Severino & Sossio vi erano beni anche nell’area arcoriana.

Siamo quasi alla fine del XII sec. (1181) e l’abate Pietro, in accordo con tutta la congregazione, decide di restaurare e riportare allo splendore una antica infermeria di proprietà dello stesso monastero. A questa infermeria saranno legati alcuni beni: la Chiesa di San Severino in Terczo insieme al cortile che è accanto alla chiesa stessa, insieme all’orto, al pozzo e a due grandi starze, ciascuna dotata di frutteto e di alberi, che si trovano l’una di fianco all’altra. Viene altresì rinnovata l’assegnazione a tale infermeria di una “clusuria”[1] di terreno appartenente a detto monastero, sita in località Terzo, insieme con gli alberi e i loro frutti, e tutta la chiesa del monastero, sita in località Pretiosa, presso Arcora (1749, vol.III).

A tale “Offerta” si aggiunge la Chiesa di S.Paolino, presente comunque nel perimetro delle proprietà dell’istrumento notarile.

Una trascrizione della stessa pergamena (RPilone - AnticoInventario_vol1.pdf, 182) aggiunge ulteriori dettagli a quanto sopra quali quello che la Chiesa di S.Severino sia classificata come “obedientia” del Monastero e il cortile di fianco ad essa sia dotato di “casas et ortua, puteum aque vive”.

I confini vengono così indicati: da una parte vi è una strada carraia che confina con il territorio di San Sebastiano, dall’altro lato vi è ancora la terra di detto monastero di S.Severino ovvero il fiume dello stesso Monastero che passa per il Mulino delle Osene (il Rubeolo?), dall’altro lato ancora un altro fiume dello stesso mulino, chiamato “de illa Curte” mentre dall’altro lato vi sono dei terreni riservati.

La “clusuria” ha i seguenti confini: da una parte vi è una via pubblica, da una parte vi è del terreno, dall’altra parte vi è un’altra via pubblica dove vi è l’ingresso ed altri confini.

Circa 50 anni dopo (1213-1218), le cose non sono cambiate, anzi, possiamo aggiungere altre informazioni (1229, vol.III), ovvero che nel periodo menzionato, l’abbate Stefano offre al monaco e sacerdote Pietro, infirmario dello stesso Monastero, 5 appezzamenti di terreni che si trovano nella palude del Mulino della Torricella (appartenente allo stesso Monastero), dove sono anche le terre tenute in feudum dal suddiacono Giovanni Cacapice. Poi vi sono le altre due terre, sempre in loco Terzo, nei pressi della Clusura, che si trova proprio accanto all’obbedienza di San Severino.



[1] terreno delimitato da siepi (cfr. G. Libertini – R.N.A.M. volume introduttivo – Ist. di Studi Atellani, 2011)

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