Esempio di una Sala di Degenza |
In alcune delle pergamene analizzate in precedenza compare un termine, infirmaria.
Con questo termine si identifica quella parte
di Monastero dove venivano tenute, secondo la Regola di S.Benedetto, le persone
ammalate (siano esse monaci o pellegrini o lavoranti dello stesso monastero)
fino alla loro completa guarigione; la regola stabiliva che vi fosse anche un
oratorio ed una cucina nei pressi di questa struttura, alla quale spesso si
associava il giardino officinalis dove venivano piante terapeutiche.
La negligenza nella gestione della infirmaria
poteva costare caro all’abate (“per annum ab munere suspendatur”) oltre che al
Vicario ed al Priore Cellerario (cfr. “D. Patris Benedicti Et Constitutiones Congregationis Montis Oliveti Regula”,
Roma, 1573).
Pertanto, ad ognuna di queste veniva associata
una rendita costituita da appezzamenti di terreni, case, chiese e quant’altro
in modo da garantire una certa autonomia amministrativa derivante dalla
gestione di tali beni.
Per l’Infirmaria del Monastero napoletano di
S.Severino & Sossio vi erano beni anche nell’area arcoriana.
Siamo quasi alla fine del XII sec. (1181) e
l’abate Pietro, in accordo con tutta la congregazione, decide di restaurare e
riportare allo splendore una antica infermeria di proprietà dello stesso
monastero. A questa infermeria saranno legati alcuni beni: la Chiesa di San
Severino in Terczo insieme al cortile che è accanto alla chiesa stessa, insieme
all’orto, al pozzo e a due grandi starze, ciascuna dotata di frutteto e di
alberi, che si trovano l’una di fianco all’altra. Viene altresì rinnovata
l’assegnazione a tale infermeria di una “clusuria”[1]
di terreno appartenente a detto monastero, sita in località Terzo, insieme con
gli alberi e i loro frutti, e tutta la chiesa del monastero, sita in località
Pretiosa, presso Arcora (1749, vol.III).
A tale “Offerta” si aggiunge la Chiesa di
S.Paolino, presente comunque nel perimetro delle proprietà dell’istrumento
notarile.
Una trascrizione della stessa pergamena (RPilone
- AnticoInventario_vol1.pdf, 182) aggiunge ulteriori dettagli a quanto sopra
quali quello che la Chiesa di S.Severino sia classificata come “obedientia” del
Monastero e il cortile di fianco ad essa sia dotato di “casas et ortua,
puteum aque vive”.
La “clusuria” ha i seguenti confini: da una parte vi è una via pubblica, da una parte vi è del terreno, dall’altra parte vi è un’altra via pubblica dove vi è l’ingresso ed altri confini.
Circa 50 anni dopo (1213-1218), le cose non sono cambiate, anzi, possiamo aggiungere altre informazioni (1229, vol.III), ovvero che nel periodo menzionato, l’abbate Stefano offre al monaco e sacerdote Pietro, infirmario dello stesso Monastero, 5 appezzamenti di terreni che si trovano nella palude del Mulino della Torricella (appartenente allo stesso Monastero), dove sono anche le terre tenute in feudum dal suddiacono Giovanni Cacapice. Poi vi sono le altre due terre, sempre in loco Terzo, nei pressi della Clusura, che si trova proprio accanto all’obbedienza di San Severino.
[1] terreno delimitato da siepi (cfr. G. Libertini – R.N.A.M. volume
introduttivo – Ist. di Studi Atellani, 2011)
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