Per “obbedienza” si intende una zona franca (chiesa, grancia, etc.) che un Monastero poteva dichiarare su un territorio di proprietà altrui[1], a seguito di concessioni.
Cominciamo con l'obedienza di Pomigliano d'Arco.
Alcune pergamene tratte dal “Monumenta Ad Neapolitan Ducatus Historiam Pertinentia” di Bartolomeo Capasso (MNDHP), fanno riferimento ad una “obedientia” che il Monastero dei Santi Sergio e Bacco aveva nel territorio di Pomigliano: nell’anno 1021 (MNDHP, vol.II parte I n.392), allorquando Leone detto Levorano, “figlio del fu Pietro de iannita, abitante in acerre, dal giorno presente con prontissima volontà prometto a voi domino Pancrazio, venerabile egùmeno del monastero dei santi Sergio e Bacco, che ora è congregato nel monastero dei santi Teodoro e Sebastiano chiamato casapicta sito in viridiarium, e a tutta la vostra congregazione di monaci del vostro predetto santo e venerabile monastero, per gli integri due pezzi di terra di diritto del vostro predetto santo e venerabile monastero, uno di quelli è alberato ed è detto in campo maiore sito nel luogo detto pumilianum foris arcora e l’altro è prato ed è vicino alla palude presso quel ponte dell’anzidetto luogo acerre, con gli alberi ed i loro ingressi e tutte le cose ad essi pertinenti.” (vedi Rif.[100], n.320)
In particolare, si legge che per il campo alberato “in campo
maiore”, Leone e i suoi eredi dovevano regalare al monastero “di quanto
vino, mosto, mondo e vinello, ivi ogni anno Domineddio avrà dato a noi, allora
lo dividiamo tra noi a metà: voi e i vostri posteri e il vostro predetto
monastero metà, e io e i miei propri eredi dobbiamo pertanto prendere l’altra
metà. E la metà vostra, che dunque sarà toccata a voi e ai vostri posteri, io e
i miei propri eredi la dobbiamo conservare per tre giorni. E ogni anno io e i
miei propri eredi dobbiamo trasportare per voi e i vostri posteri gratuitamente
la vostra metà fino alla vostra obbedienza del predetto luogo pumilianum”.
(c.s.)
L’Obbedienza pomiglianese la ritroviamo poi in una
pergamena del 1028 ((MNDHP, vol.II n.420), allorquando a Giovanni detto il
“terziatore”, figlio di un uomo di Ponticelli, e ora abitante a Pomigliano foris
Arcora, viene affidato un “campo chiamato ad muscarellum sito
nell’anzidetto luogo pumilianum, insieme con i vostri integri due canali ivi ai
lati adiacenti, uno dalla parte di mezzogiorno e l’altro dalla parte di
settentrione, con gli alberi e i suoi ingressi e tutte le cose ad esso
pertinenti.” (vedi anche Rif.[100], n.342)
Anche in questo caso, “nella festa di santa Maria del mese
di agosto”, Giovanni e i suoi eredi avrebbero dovuto portare “di quanto
vino, mosto, mondo e vinello, ivi ogni anno Domineddio avrà dato a noi, allora
lo dividiamo tra noi a metà, voi e i vostri posteri e il vostro predetto
monastero metà, e io e i miei eredi similmente l’altra metà. E la metà vostra
che quindi sarà toccata a voi e ai vostri posteri, io e i miei eredi dobbiamo
conservare per voi e i vostri posteri nelle nostre botti per tre giorni. E ogni
anno io e i miei eredi la dobbiamo portare gratuitamente per voi e i vostri
posteri fino a quella vostra obbedienza del predetto luogo pumilianum senza
alcuna obiezione.” (c.s.)
La menzione di una obedientia del Monastero di S.Severino
& Sossio ricompare in una pergamena risalente al 1119 (n.1709 di R.Pilone
vol.3) quando Giovanni Seniore e suo cognato Adenulfo offrono al convento “integro
campo nostro de terra posito vero in loco ad Arcora iuxta riu qui nominatur de
Silice, iuxta viam qui pergit ad Summam, iuxta semita qui vadit ad illa
obedientia vestra de dicto monasterio”. I tre punti indicati in questa
pergamena potrebbero circoscrivere l’area indicata, tenendo presente che il riu
era un piccolo ruscello e che per “semita” si intende un sentiero.
Successivamente, negli anni tra il 1127 e il 1136[2],
nel luogo di Terczo, si parla di una obedientia: “et indica
casa de Petro Nucerino, homine dicti monasterii, habitatore ad illa L[ .... ],
obedientia vestra de ipso loco Terzu.”).
Una ipotesi “lontanissima” che vogliamo mettere sul
tavolo è che l’area dove poi sarebbe sorta la Grancia benedettina tavernanovese
facesse parte (o lo era integralmente) di una “obbedienza” del Monastero di
S.Severino, “obbedienza” prima facente parte del territorio di Pomiliano foris
Arcora e poi – correttamente – di quello di Terczo a cui parte del territorio
tavernanovese fu annesso.
[1] Secondo lo studioso Charles du Fresne signore di Cange, per obedientia o hobedientia, si intende una “cellae, Praepositurae, et Grangiae, a Monasteriis dependentes, quod Monachi ab Abbate illuc mitterentur vi ejusdem obedientiae, ut earum curam gererent, aut eas deservirent” (cfr. Glossarium Ad Scriptores Mediae et Infimae Latinitatis, 1678).
[2] RPilone - AnticoInventario_vol2.pdf, n.854; Partendo dall'autorità del Capasso, si ritiene che l'autore dell'atto sia il duca Sergio VIl (1120-1137)
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