martedì 31 dicembre 2024

Curiosità da alcuni documenti dello Stato Civile (II): superstiti poveri nel 1836

Nel post precedente abbiamo raccontato di duecento ducati lasciati in eredità. Ora testimoniamo di povertà, quella che attanagliava tutta la provincia campana, con le note trascritte nel 1836 provenienti dallo Stato Civile della Restaurazione di Casalnuovo.

Biagio Iorio, figlio di Francesco e marito di Grazia Manna, bottaro, di anni sessantasei "avendo lasciato Maddalena Iorio sua figlia e la sua moglie superstiti poveri".

Rimarchiamo che la popolazione di Tavernanova era composta da 200 persone nel 1832 (fonte: S. Cantone, "Cenni storici di Pomigliano", 1984).

Stato Civile della Restaurazione di Casalnuovo (1816-1865)


lunedì 30 dicembre 2024

Curiosità da alcuni documenti dello Stato Civile (I): nonna Rosa lascia in eredità 200 ducati

 Dalla analisi di alcuni documenti dello Stato Civile di Casalnuovo (ed archiviati digitalmente presso l'Archivio di Stato di Napoli) possiamo renderci conto di tante cose riguardo i nostri antenati.

Cominciamo con la signora Rosa, deceduta il giorno di ferragosto del 1810, a Tavernanova.

L'atto di morte viene redatto il giorno dopo, alla presenza dei delatori Dottor Domenico Bacco (chirurgo) domiciliato alla strada del Felariello (Casalnuovo) e Giacobbe Fico, bracciante di Tavernanova.

La signora Rosa, di anni settanta, vedova di Pasquale(?) Fico, aveva avuto 6 figli (all'epoca tutti di maggiore età) a cui lascia ben duecento ducati.

Duecento ducati equivalevano a circa 300 grammi d'oro, volendo avere un'idea di massima.

Documento dello Stato Civile Napoleonico di Casalnuovo (1806-1815)




sabato 7 dicembre 2024

Il decesso del doganiere della "Sbarra di Tavernanova": 6 Luglio 1811

 A pochi giorni dal trasferimento del Bureau dei Dazi di Tavernanova verso Pomigliano (vedi qui), la cosiddetta "barra doganale", un certificato di morte del 6 Luglio 1811 così recita:

"[alcune iniziali] Emmanuele Visone, della Comune di Trocchia al Servizio della forza armata domiciliante a Tavernanova, pertinenza di questo Comune, d'anni quaranta, Biagio Terracciano barbiero di anni quarantuno, di questo Comune di Casalnuovo, strada a Tavernanova, essi hanno dichiarato che ieri, ad ore ventitre morto il signor Nicola Cesari(Cestari?) di Napoli di anni cinquantadue Cassiere ossia ?????? della Regia Dogana dimorante alla Sbarra detta Tavernanova pertinenza di questo Comune di Casalnuovo, ha lasciato due figli maschi, uno dei quali si chiama Gennaro di età maggiore; non ha lasciato effetti"

Da quanto descritto, abbiamo conferma che a Tavernanova vi era una Dogana per il controllo delle merci che venivano da Napoli ed andavano verso Pomigliano. Questo "passo" è stato già documentato in testi del XVII° (se non del XVI°...) secolo.

Non solo. Abbiamo qui anche una guarnigione armata, di stanza a Tavernanova, probabilmente retaggio di un primo stanziamento di guardia risalente alla fine del XVI° secolo. (vedi qui).

Molto interessante.

Buona festa dell'Immacolata a tutti i paesani.

giovedì 5 dicembre 2024

La prima "zia centenaria" di Tavernanova?

 ...chissà se ancor prima del 1811 ve ne sia stata una.

Ad ogni modo, l'atto di morte redatto il 13 Marzo del 1811 parla (più o meno) chiaro:

"Giacobbe Fico, bracciante, di anni trentaquattro, di questo Comune di Casalnuovo strada a Tavernanova; Vincenzo Fico, bracciante, di anni quarantaquattro di detto Comune e della medesima strada.

Essi hanno dichiarato che ieri, ad ore ventiquattro morì Maria Feliciello loro zia, di anni Cento vedova del fu Gio:Battista Fico di questo Comune, domiciliata a Tavernanova; senza figli ma 2 nipoti Giacomo Vincenzo.... con moggia due di territorio, e sei bassi in questo(?) sopraddetto Comune alla strada piazzanova, ereditati dal sopraddetto fu Gio::Battista"



sabato 30 novembre 2024

Le classi elementari a Tavernanova già nel XIX° secolo...

...che, per una frazione di scarsi 700 abitanti nel 1881 è tutto dire.

La notizia nasce dalla lettura del testo di Nello Ronga, "I Comuni a Nord di Napoli dall'Unità d'Italia alla Repubblica (1860-1946)" stampato dall' Istituto Di Studi Atellani, Afragola (Febbraio 2020), in cui si menziona una delibera abortita da parte del comune di Pomigliano d’Arco da cui si evince che a Tavernanova esisteva una scuola (di classi elementari) già prima del 1884.

Un'altra informazione la otteniamo allorquando, il 5 dicembre del 1908 fu redatta, su proposta del Real Provveditore, una classifica delle scuole elementari, sia come numero sia come categoria o grado del Comune di Pomigliano d'Arco (di cui all'epoca Tavernanova era frazione). 
La situazione si presentava così: 

Il Comune nel grado di 3° urbano possiede 8 scuole maschili superiori ed inferiori; 8 scuole femminili superiori ed inferiori; 1 scuola di Stato alla Masseria Guadagni; 1 direttore didattico ed infine 1 scuola mista alla Borgata di Tavernanova, allora facente parte dell’area urbana pomiglianese

Saluti.

Classe elementare del 1953-54, foto di Vincenzo Ruotolo


sabato 5 ottobre 2024

La Pagliara del Re (via Lufrano) e il Casone di Volla in una mappa del 1860

 


L'immagine è il particolare di una stampa cartografica del 1860 (Libreria Detken & Rocholl).

L'area copre parte di via Filichito (destra) e l'attuale via Bolla. Tra l'altro, viene indicato il fiume Sebeto.

La Pagliara del Re (luogo molto caro a Carlo e a Ferdinando IV di Borbone) dovrebbe intendersi l'area di "Caccia Reale". Al centro sinistra troviamo il "Casone", che tutti noi abbiamo conosciuto soprattutto come Pizzeria (poco meno di cinquanta anni fa...).

Un ottimo documentario, creato da don Diego, parroco della Parrocchia di S.Carlo Borromeo (Centro Direzionale di Napoli) spiega molto bene la storia della zona:



domenica 29 settembre 2024

Tavernanova in una cartografia De Agostini

 La cartografia dovrebbe risalire alla fine degli anni '20 del XX° secolo, visto che ritroviamo il Salice come frazione di Ponticelli e non solo.




domenica 8 settembre 2024

La Casa della Bolla descritta nel XVI secolo.

 

1629 - La Villa di Poggioreale (particolare di un dipinto di A. Baratta, "Fidelissimae urbis Neapolitanae")

Nel 1566 viene dato alle stampe, postumo, il testo di Giovanni Tarcagnota “Del sito et lodi della città di Napoli, con una breve historia de gli re suoi, et delle cose più degne altrove ne’ medesimi tempi avenute”,

In questo documento, una delle tante guide alla bellezza della città e del suo circondario scritte in ogni tempo, l’autore fa descrivere  – a modo di una moderna intervista – a don Geronimo Pignatelli[1], la funzione della cosiddetta “Casa della Bolla”:

Qui tutta l’acqua si divide, et una parte ne viene a Poggio Reale per li suoi aquedotti coverti, co’ suoi castelletti di mano in mano; l’altra fa il celebre fiumicello Sebeto, che ne va a scaricare presso il ponte della Madalena le sue acque in mare, et serve a fare macinare tanti molini, quanti sapete, per uso della città. Et se egli è povero di acque, è nondimeno famoso et noto per la grandezza della città che ha vicina, non men che per lo suo famoso Tevere Roma. Ora dalla Bolla in sù, per forse un miglio, si scuoprono antichi aquedotti, per i quali ne vien nella Bolla l’acqua; ma più in là, per che ci contentiamo noi hoggi di quel che habbiamo, non ci curiamo di andare altramente l’origine di questa acqua cercando; et così, per un poco di diligentia che si lascia di oprarvisi, ne resta incognita a noi hoggi et occulta. Non è l’acqua, che nella Bolla si vede, tanta che bastasse né a darci le tante fontane et pozzi quanti habbiamo nella città, né a fare macinare tanti molini quanti ne macinano, ma et nella Bolla istessa, et di mano in mano per tutto il corso che ella fa, con copiosi nuovi gorghi ne viene sempre accrescendo, in modo che in quella tanta copia abonda che noi vediamo; et in PoggioReale spetialmente, più che altrove, ne cresce. Nel qual luogo, che ne tolse per ciò questo nome, solevano già per loro diporto gli re passati andare spesso, et massimamente la estate, per godere di quelle acque che copiosamente vi sono; et a questo effetto vi furono fatti vaghissimi giardini con alcune commode stanze.

La Casa della Bolla, ai tempi nostri, giù in via Casa dell'Acqua.


[1] rampollo del ramo dei duchi di Monteleone, figlio di Camillo conte di Borrello e dunque fratello del duca Ettore II Pignatelli.



sabato 31 agosto 2024

Il Sistema delle “Masserie della Pretiosa” nel contesto dei luoghi arcoriani (VII) - Le "obbedienze" di Pomigliano e di Terczo, parte 2

Per quanto riguarda l'obedientia di Terczo (Terzo), individuata da alcune pergamene che risalgono al periodo in cui l'area tavernanovese apparteneva a questo villaggio (il territorio complessivo arrivava a coprire fin l'attuale via Filichito), essa viene menzionata in una pergamena risalente ad un periodo stimato tra il 1013 e il 1020 o tra il 1127 ed il 1136. Il salto che si ha tra questi periodi è frutto degli estremi cronologici del dominio di Sergio III, Sergio IV, Sergio V, Sergio VI e Sergio VII, nonché dell'abate Iohannes menzionato nel regesto; questi anni sono corrispondenti a quelli in cui dalla documentazione rinvenuta risulta che nel monastero sia stato attivo un abate Iohannes: ne consegue che l'autore dell'atto possa essere o il duca Sergio IV (1002-1027; 1030-1036) o Sergio VII (1120-1137).

La pergamena riguarda una concessione (privilegium) che il duca concede al Monastero circa alcune terre nei pressi del Molino della Torricella:

“idest integra starcza de terra maiore, iuris propria dicti sancti vestri monasterii, et cum integram ecclesiam vestram Sancti Siverini et domum frabitam et obidentia et curte, per quem vadit flivium maiore qui nominatur Rubeolum, et integrum molinum et turricellam vestram[1].

Quindi tale obbedienza si trovava in un contesto di una casa diroccata, con una obedientia ed un cortile (qui in senso di un atrio contornato da altre costruzioni[2]) e, nel territorio dove erano presenti queste strutture, vi scorreva il fiume Rubeolo oltre ad esservi anche il mulino e la vostra piccola torre.

Una menzione di una obedientia in loco Terczo la ritroviamo in una pergamena databile negli anni 1118-1143. Questa riguarda una offerta di un piccolo pezzo di terreno che viene fatta al Monastero da Sergio de donno Sichinulfo. Tale terreno si trova prorio a fianco della obedienza di Terzo.

Un fugace menzione dell’obedientia la ritroviamo in un documento del periodo 1127-1136, una pergamena dove viene fatta una revisione di alcuni possedimenti che il duca Sergio VII aveva concesso al Monastero di San Severino e Sossio:

et inclita casa de Petro Nucerino, homine dicti monasterii, habitatore ad illa L[ .... ] "', obedientia vestra de ipso loco Terzu”.

L’ultima nota sulla obedientia – quantomeno dai volumi della Pilone – riguarda il periodo 1213-1218, quando l’abate del Monastero – Stefano – concede all’Infirmaria retta dal monaco Pietro ben cinque pezzi di terra. Di questi, due erano campise, ovvero dei prati da pascolo e i rimanenti tre erano in palude “in loco ubi dicitur ad Molinum nostrum de illa turricella, unde terres exinde da vos in feudum detinuit Iohannes subdiacono Cacapice; et alie due sunt in loco Terzo, exinde dicitur Clusue, que est iusta hobidentia Sancti Siverini.”

Quindi, accanto alla hobidentia di Terczo, vi era la cosiddetta “Clusuria”, chiusura o ‘gnusa[3] dove erano localizzate queste ultime due terre menzionate.

Nota: le pergamene sono riportate nel testo della professoressa Rosaria Pilone “L'ANTICO INVENTARIO DELLE PERGAMENE DEL MONASTERO DEI SS. SEVERINO E SOSSIO” - 1999



[1] Ciò induce a pensare che il Mulino (e la torre annessa) appartenessero al monastero ancor prima della datazione di tale pergamena.

[2] Cfr G.Libertini – Volume introduttivo al R.N.A.M. - 2011

[3] Secondo il sign. Luigi Perna, la gnusa era un luogo subito dietro il “complesso Gaudiosi”, oggi corrispondente grosso modo a via M.Rosa Gattorno.

sabato 24 agosto 2024

Il Sistema delle “Masserie della Pretiosa” nel contesto dei luoghi arcoriani (VII) - Le "obbedienze" di Pomigliano e di Terczo, parte 1

 Per “obbedienza” si intende una zona franca (chiesa, grancia, etc.) che un Monastero poteva dichiarare su un territorio di proprietà altrui[1], a seguito di concessioni.

Cominciamo con l'obedienza di Pomigliano d'Arco

Alcune pergamene tratte dal “Monumenta Ad Neapolitan Ducatus Historiam Pertinentia” di Bartolomeo Capasso (MNDHP), fanno riferimento ad una “obedientia” che il Monastero dei Santi Sergio e Bacco aveva nel territorio di Pomigliano: nell’anno 1021 (MNDHP, vol.II parte I n.392), allorquando Leone detto Levorano, “figlio del fu Pietro de iannita, abitante in acerre, dal giorno presente con prontissima volontà prometto a voi domino Pancrazio, venerabile egùmeno del monastero dei santi Sergio e Bacco, che ora è congregato nel monastero dei santi Teodoro e Sebastiano chiamato casapicta sito in viridiarium, e a tutta la vostra congregazione di monaci del vostro predetto santo e venerabile monastero, per gli integri due pezzi di terra di diritto del vostro predetto santo e venerabile monastero, uno di quelli è alberato ed è detto in campo maiore sito nel luogo detto pumilianum foris arcora e l’altro è prato ed è vicino alla palude presso quel ponte dell’anzidetto luogo acerre, con gli alberi ed i loro ingressi e tutte le cose ad essi pertinenti.” (vedi Rif.[100], n.320)

In particolare, si legge che per il campo alberato “in campo maiore”, Leone e i suoi eredi dovevano regalare al monastero “di quanto vino, mosto, mondo e vinello, ivi ogni anno Domineddio avrà dato a noi, allora lo dividiamo tra noi a metà: voi e i vostri posteri e il vostro predetto monastero metà, e io e i miei propri eredi dobbiamo pertanto prendere l’altra metà. E la metà vostra, che dunque sarà toccata a voi e ai vostri posteri, io e i miei propri eredi la dobbiamo conservare per tre giorni. E ogni anno io e i miei propri eredi dobbiamo trasportare per voi e i vostri posteri gratuitamente la vostra metà fino alla vostra obbedienza del predetto luogo pumilianum”. (c.s.)

L’Obbedienza pomiglianese la ritroviamo poi in una pergamena del 1028 ((MNDHP, vol.II n.420), allorquando a Giovanni detto il “terziatore”, figlio di un uomo di Ponticelli, e ora abitante a Pomigliano foris Arcora, viene affidato un “campo chiamato ad muscarellum sito nell’anzidetto luogo pumilianum, insieme con i vostri integri due canali ivi ai lati adiacenti, uno dalla parte di mezzogiorno e l’altro dalla parte di settentrione, con gli alberi e i suoi ingressi e tutte le cose ad esso pertinenti.” (vedi anche Rif.[100], n.342)

Anche in questo caso, “nella festa di santa Maria del mese di agosto”, Giovanni e i suoi eredi avrebbero dovuto portare “di quanto vino, mosto, mondo e vinello, ivi ogni anno Domineddio avrà dato a noi, allora lo dividiamo tra noi a metà, voi e i vostri posteri e il vostro predetto monastero metà, e io e i miei eredi similmente l’altra metà. E la metà vostra che quindi sarà toccata a voi e ai vostri posteri, io e i miei eredi dobbiamo conservare per voi e i vostri posteri nelle nostre botti per tre giorni. E ogni anno io e i miei eredi la dobbiamo portare gratuitamente per voi e i vostri posteri fino a quella vostra obbedienza del predetto luogo pumilianum senza alcuna obiezione.” (c.s.)

La menzione di una obedientia del Monastero di S.Severino & Sossio ricompare in una pergamena risalente al 1119 (n.1709 di R.Pilone vol.3) quando Giovanni Seniore e suo cognato Adenulfo offrono al convento “integro campo nostro de terra posito vero in loco ad Arcora iuxta riu qui nominatur de Silice, iuxta viam qui pergit ad Summam, iuxta semita qui vadit ad illa obedientia vestra de dicto monasterio”. I tre punti indicati in questa pergamena potrebbero circoscrivere l’area indicata, tenendo presente che il riu era un piccolo ruscello e che per “semita” si intende un sentiero.

Successivamente, negli anni tra il 1127 e il 1136[2], nel luogo di Terczo, si parla di una obedientia:et indica casa de Petro Nucerino, homine dicti monasterii, habitatore ad illa L[ .... ], obedientia vestra de ipso loco Terzu.”).

Una ipotesi “lontanissima” che vogliamo mettere sul tavolo è che l’area dove poi sarebbe sorta la Grancia benedettina tavernanovese facesse parte (o lo era integralmente) di una “obbedienza” del Monastero di S.Severino, “obbedienza” prima facente parte del territorio di Pomiliano foris Arcora e poi – correttamente – di quello di Terczo a cui parte del territorio tavernanovese fu annesso.



[1] Secondo lo studioso Charles du Fresne signore di Cange, per obedientia o hobedientia, si intende una “cellae, Praepositurae, et Grangiae, a Monasteriis dependentes, quod Monachi ab Abbate illuc mitterentur vi ejusdem obedientiae, ut earum curam gererent, aut eas deservirent” (cfr. Glossarium Ad Scriptores Mediae et Infimae Latinitatis, 1678).

[2] RPilone - AnticoInventario_vol2.pdf, n.854; Partendo dall'autorità del Capasso, si ritiene che l'autore dell'atto sia il duca Sergio VIl (1120-1137)

sabato 10 agosto 2024

I mulini nell'area arcoriana

 

Il mulino più vicino all’area tavernanovese era quello “della Torricella” o “delle canne”.

Molto probabilmente, il mulino fu edificato in quella porzione di terreno che Giovanni, duca di Napoli permutò nel 949 con il Monastero di S.Severino e Sossio[1] con un pezzo di terreno che il Monastero aveva avuto in dote da Maria, nipote di Sergio I Duca di Napoli. Questo terreno è stato individuato nell’area di Tavernanova dove oggi è anche il complesso Gaudiosi.

Nel documento qui riportato, a cura del professor Luigi Verolino, l’attestazione storica del Molino della Torricella, che fu costruito sul fiume Rubeolo, con alcune note sui conduttori che si sono susseguiti (e la rendita che dovevano corrispondere al Monastero).

Altre tracce risalgono al periodo 1013-1020 dove, viene anche menzionata una “integra starcza de terra maiore, iuris propria dicti sancti vestri monasterii, et cum integram ecclesiam vestram Sancti Siverini et domum frabitam et obidentia et curte, per quem vadit fluvium maiore qui nominatur Rubeolum[2]” (1215, vol.III).

Nel 1143, come da figura, il mulino fu affidato a Tommaso di Sant’Elia per 15 tarì annui.

Tra il 1219 ed il 1246 (156, vol.I), Andrea Capice di donna Orania (ed i suoi eredi) ebbe in gestione dal monastero due pezzi territorio ad illa Padule proprio nei pressi del mulino della Torricella, uno più piccolo ed uno più grande. Il territorio più piccolo aveva come confini le terre di San Gennaro ed Agrippino ad corpus da un lato ed una via in comune per l’ingresso mentre ad un capo vi eran la via carraia in comune ed all’altro la via che conduceva al mulino del monastero. Quello più grande aveva invece come confini da un lato la starza del suddetto monastero (di modo che si potesse raggiungere la stessa Turricella) e dall’altro lato vi è il fiume; poi da un capo vi è la terra del monastero insiemi ad altri confini.

Come si evince dalla figura, nel 1260 il mulino fu dato in gestione ad Andrea Sicardo, per la somma di 9 once annue e l’obbligo di macinare 10 moggia(?) di grano al mese da dare al Monastero. Tale affitto durò circa 30 anni.

Grazie al prof. Luigi Verolino che abbiamo una interessante mappatura dei Mulini nel periodo XV-XVIII secolo:



[1] cfr. C. Cerbone, D. De Stelleopardis – “Afragola feudale: per una storia degli insediamenti rurali del napoletano” – Ist. di studi Atellani, 2004

[2] Il Rubeolo deve intendersi, secondo alcuni studiosi, il Bolla. (cfr G.Garruccio, Antichità di Napoli e suoi contorni, 1850)

sabato 3 agosto 2024

Il Sistema delle “Masserie della Pretiosa” nel contesto dei luoghi arcoriani (VI) - L’Infirmaria del Monastero e i suoi beni nei luoghi arcoriani

 

Esempio di una Sala di Degenza

In alcune delle pergamene analizzate in precedenza compare un termine, infirmaria.

Con questo termine si identifica quella parte di Monastero dove venivano tenute, secondo la Regola di S.Benedetto, le persone ammalate (siano esse monaci o pellegrini o lavoranti dello stesso monastero) fino alla loro completa guarigione; la regola stabiliva che vi fosse anche un oratorio ed una cucina nei pressi di questa struttura, alla quale spesso si associava il giardino officinalis dove venivano piante terapeutiche.

La negligenza nella gestione della infirmaria poteva costare caro all’abate (“per annum ab munere suspendatur”) oltre che al Vicario ed al Priore Cellerario (cfr. “D. Patris Benedicti Et Constitutiones Congregationis Montis Oliveti Regula”, Roma, 1573).

Pertanto, ad ognuna di queste veniva associata una rendita costituita da appezzamenti di terreni, case, chiese e quant’altro in modo da garantire una certa autonomia amministrativa derivante dalla gestione di tali beni.

Per l’Infirmaria del Monastero napoletano di S.Severino & Sossio vi erano beni anche nell’area arcoriana.

Siamo quasi alla fine del XII sec. (1181) e l’abate Pietro, in accordo con tutta la congregazione, decide di restaurare e riportare allo splendore una antica infermeria di proprietà dello stesso monastero. A questa infermeria saranno legati alcuni beni: la Chiesa di San Severino in Terczo insieme al cortile che è accanto alla chiesa stessa, insieme all’orto, al pozzo e a due grandi starze, ciascuna dotata di frutteto e di alberi, che si trovano l’una di fianco all’altra. Viene altresì rinnovata l’assegnazione a tale infermeria di una “clusuria”[1] di terreno appartenente a detto monastero, sita in località Terzo, insieme con gli alberi e i loro frutti, e tutta la chiesa del monastero, sita in località Pretiosa, presso Arcora (1749, vol.III).

A tale “Offerta” si aggiunge la Chiesa di S.Paolino, presente comunque nel perimetro delle proprietà dell’istrumento notarile.

Una trascrizione della stessa pergamena (RPilone - AnticoInventario_vol1.pdf, 182) aggiunge ulteriori dettagli a quanto sopra quali quello che la Chiesa di S.Severino sia classificata come “obedientia” del Monastero e il cortile di fianco ad essa sia dotato di “casas et ortua, puteum aque vive”.

I confini vengono così indicati: da una parte vi è una strada carraia che confina con il territorio di San Sebastiano, dall’altro lato vi è ancora la terra di detto monastero di S.Severino ovvero il fiume dello stesso Monastero che passa per il Mulino delle Osene (il Rubeolo?), dall’altro lato ancora un altro fiume dello stesso mulino, chiamato “de illa Curte” mentre dall’altro lato vi sono dei terreni riservati.

La “clusuria” ha i seguenti confini: da una parte vi è una via pubblica, da una parte vi è del terreno, dall’altra parte vi è un’altra via pubblica dove vi è l’ingresso ed altri confini.

Circa 50 anni dopo (1213-1218), le cose non sono cambiate, anzi, possiamo aggiungere altre informazioni (1229, vol.III), ovvero che nel periodo menzionato, l’abbate Stefano offre al monaco e sacerdote Pietro, infirmario dello stesso Monastero, 5 appezzamenti di terreni che si trovano nella palude del Mulino della Torricella (appartenente allo stesso Monastero), dove sono anche le terre tenute in feudum dal suddiacono Giovanni Cacapice. Poi vi sono le altre due terre, sempre in loco Terzo, nei pressi della Clusura, che si trova proprio accanto all’obbedienza di San Severino.



[1] terreno delimitato da siepi (cfr. G. Libertini – R.N.A.M. volume introduttivo – Ist. di Studi Atellani, 2011)

sabato 27 luglio 2024

Il Sistema delle “Masserie della Pretiosa” nel contesto dei luoghi arcoriani (V) - Quante Starze?

 <continua>

Nel 1246 Bartolomeo Bulcano vende al convento un pezzo di terra recintato da mura e coltivato. Il terreno si trova in villa Arcora ed è circondato da alia startia dicti monasterii su 3 lati mentre il quarto da sulla via publica. (237, vol.I).

Volendo elaborare un consuntivo delle pergamene viste fino ad ora, abbiamo in pratica 3 starze:

  1. Una starza in Villa Arcora
  2. Una starza in Villa S.Anastasia, ad illa Pretiosa, che si estende fino ad arrivare nei pressi di Villa Arcora.
  3. Una starza in Sancta Maria ad Illa Pretiosa, parte foris Flubeum

Interessante annotare di una ulteriore startia, nominata Sancti Severini (a.1276), posta nella Palude di Terczo, dove vengono individuati 3 moggi di terra (non designantur fines) ma che doveva essere molto redditizia (7 tareni d’oro di Sicilia all’anno) (856, vol.II).

Dello stesso “tenore” di rendita è un fondo piuttosto ricco menzionato in alcune pergamene databili al 1248 (nn.147 e 1696), dove il visconte Pietro Macza[1] e sua moglie Maria offrono al Monastero “una cum integra casa nostra et cum integre omne bestie nostre et cum integro omne mobile nostrum, que simul nos habemus vel habituri fuerimus per quovis modum ad habendum, tenendum, possidendum…”. Tale fondo si trova in Villa Arcora, “intus ipsa villa[2].

Nel 1250 viene vergata una pergamena (n.1834, Pilone vol.4) da approfondire per poter ricostruire la zona del fondo sopra menzionato in quanto Letitia de dompna Romania, vedova di Simone Guindazzo, cede al Monastero per un’oncia ed un quarto d’oro “fundum unum de terra situm in loco Arcora, una cum casa, curte et haera, iuxta fundum dicti monasterii a duabus partibus, que fuit de Petro qui nominatur Maza, bisconte, iuxta fundum Petri Castaldi, iuxta viam puplicam”. Una nota a margine di questa pergamena (“Emptio in Arcora”) fa capire che la zona arcoriana cominciava ad essere abbandonata dai suoi residenti.

Altre starze vengono fuori da un documento del 1300 (86, vol. I) che riguarda due pezzi di terra tenuti in loco Pretiosa da parte di Pasquale Gaudioso: il primo appezzamento ha come confine la via publica (dove c’è l’entrata), poi vi è la starza di Bartolomeus de Rogerio e a seguire quella dove lavorano Morfeus Montanino e Giovanni de Osensio. Anche la seconda delle terre oggetto della pergamena ha un lato che confina con il De Rogerio, poi un lato vi è la via pubblica con l’ingresso; un altro lato prosegue al confine con altri territori e, in particolare, con quelli dove laborat Iacobus Papazzulus. (cfr. 134, vol.I).

Purtroppo, nulla dura in eterno ed anche alla Pretiosa dovettero fare i conti con guerre e carestie. Nel 1300 un’altra pergamena (RPilone - AnticoInventario_vol3.pdf, 1716) ci parla di Pietro de Graziano, figlio di Leonardo, di Sant’Anastasia che si fa carico, per un’oncia e mezza (d’oro), di una terra in “testa” alla starza dicti monasteri, in Sant’Anastasia, detta illa Pretiosa, contornata da tre vie pubbliche e collocata a fianco di ciò che era rimasto della starza del monastero.

Nel 1311, l’abate del Monastero di S.Severino E Sossio, concesse in perpetuo un apprezzamento di terreno a Paolo Malcone ed ai suoi fratelli Pietro, Matteo e Tommaso (di S.Anastasia) in una zona detta ala Pretiosa, che era contornata da due parti dalla starza del Monastero dove era S.Maria a la Pretiosa e San Nicola, insieme a delle vie pubbliche. (RPilone - AnticoInventario_vol3.pdf, 1719).



[1] Ipotizziamo Pietro Mazza, signore di San Gayren: potrebbe essere un cavaliere del Re Giacomo I d’Aragona, al quale supponiamo fu donato il fondo per i servigi resi nella guerra contro i Mori a Majorca nel 1232.

[2] Un possibile riferimento per questo fondo, anche alla luce delle altre pergamene indicate nel testo della Pilone, potrebbe essere dato dalle due masserie che si susseguono in via Filichito, all’inizio dell’incrocio con la Nazionale delle Puglie.


sabato 20 luglio 2024

Il Sistema delle “Masserie della Pretiosa” nel contesto dei luoghi arcoriani (IV) - Quante Starze?

 

L’ipotesi che vogliamo percorrere è quella che l’area pressochè triangolare con il vertice alto rappresentato dal “Complesso Gaudiosi” sulla via Nazionale delle Puglie, quello a destra in basso identificato nell’area della Pretiosa di Sant’Anastasia e quella a sinistra in nel territorio della Bolla abbiano costituito l’area territoriale condivisa da due starze, entrambe appartenenti al Monastero di S.Severino & Sossio di Napoli. 

Tutta l’area era conformata all’interno della Centuriazione “Neapolis”, risalente ai primi anni dopo l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., sebbene nel testo di E.Lo Cascio, A. Storchi Marino – “Modalità insediative e strutture agrarie nell’Italia meridionale in età romana” – EdiPuglia, 2001 si fa riferimento a degli insediamenti nell’area che si posizionano in anni ben più precedenti.



In linea generale, una primissima menzione di una starza appartenuta al Monastero di SS.Severino e Sossio la troviamo in una pergamena risalente al 1178-79, dove si parla di un appezzamento di terreno nel territorio di Terczo che aveva i seguenti confini (170, vol.I):

  • terra di S.Maria ad Platiam
  • via puplica
  • un’altra terra di detto monastero
  • una via che conduceva dal lato opposto
  • la terra lavorata da Stefano de Cicire ed altri confini.

Qui le terre confinanti sono almeno cinque, più altri confini.

Ci siamo già imbattuti nel post precedente in una pergamena del 1190 (195, vol.I) dove si menzionava la starza di Domenico e Giovanni Cicalesi in quel di Villa Arcora. A questa vi associamo la pergamena n.187, vol.I – del 1191 - che riguarda una donazione che un tale Matteo Sarracino fa al convento: è una terra in villa Sancta Anastasia, denominata appunto “ad illam Pretiosam”.

I confini di questa terra erano dunque:

  • Ad un capo, la via publica que dicitur Sumese.
  • Ad un lato ed anche ad un capo vi è una starza di detto monastero che si estende fino ad illa Arcora, ovvero le arcate dell’Acquedotto Claudio.
  • Da un altro capo c’è xxxxxxxxx (10 lettere circa) ed altri confini.

Possiamo quindi immaginare che l’ampiezza del territorio tale da arrivare ad avere come “capo” le arcate dell’Acquedotto Claudio (oltre che come lato) e la via publica Sumese.

L’ipotesi che nei territori più a sud rispetto alle arcate dell’acquedotto vi fosse una ulteriore starza viene avvalorata da una pergamena databile nel periodo 1213 – 1219. In questa pergamena, ad un certo Stasio Papazulo, fratello di Pietro, monaco casertano, fu concessa una starza integra nel luogo detto “ad illa Pretiosa” (in Sancta Anastasia) avente i seguenti confini: da due parti vi sono dei resti abbandonati della starza stessa mentre un terzo confine è definito da una strada che si chiama Rio, più altri confini. (231, vol.I).

Non solo: nello stesso periodo Giovanni de Pellegrino promette al Monastero due starze intere appartenenti alla Infirmaria. Le starze, già affidate a Roberto de Benedicto, si trovano proprio presso “illa starcza vestra de dicta infirmaria” (1127, vol.III).

Da annotare che al 1215, Ruggero Gaudioso ed i suoi eredi lavoravano il territorio ad illa Pretiosa di Sant’Anastasia. Tale territorio misurava 11 moggia e aveva come 3 confini altre terre appartenenti al monastero mentre un quarto confine era stabilito da una via pubblica. (186, vol.I).

Venti moggi di terra furono concessi tra il 1226 e il 1241 (1753, vol.III) dal monastero a Stasio Papazulo di Sancta Nastase, giusto per l’infirmaria di detto monastero all’interno di una integra starza di terra della stessa infirmaria, posta in loco Sancte Nastase detto ad illa Pretiosa.

Tale starza ha la via de Silice come confine da tre parti così come la suddetta starza più altri confini.

Una pergamena catalogata come “In loco Sancta Maria ad illa Pretiusa” (973, vol.II), risalente al periodo 1230-1245, menziona i fratelli Iacobus et Gaudiosus de Gaudioso, di S. Anastasia Foris Flubeum; questi promettono a Pietro Primicera – infirmatarius del monastero, di lavorare 7 moggi di terreno all’interno di una starza pertinente l’infirmaria, posita in loco qui nominatur Sancta Maria ad illa Pretiosa, parte Foris Flubeum.

<continua>

Nota: la dicitura (xxxx, vol.y) identifica il numero di pergamena xxxx del vol. y di 

"L'antico inventario delle pergamene del Monastero dei SS. Severino e Sossio : Archivio di Stato di Napoli, Monasteri soppressi, vol. 1788 / a cura di Rosaria Pilone. 3. - Roma : nella sede dell'Istituto, 1999"

domenica 14 luglio 2024

Il Sistema delle “Masserie della Pretiosa” nel contesto dei luoghi arcoriani - uno studio (III) - Il frutto della vite e del lavoro dell’uomo

 


Non vi sono, in realtà, molti dati che si possono estrarre dalle pergamene esaminate per poter avere una idea sulla qualità (e le quantità) di derrate alimentari che il territorio della Preziosa forniva soprattutto grazie al lavoro dell’uomo.

Ad ogni modo, è del 1190 (n.195, vol.I) una pergamena che ci racconta come Domenico e Iohannes Cicalesi abitanti "ad illa Pretiosa", tenevano a lavorare da detto Monastero una intera starza di territorio sita in villa Arcora e denominata "ad illa Pretiosa", nella quale vi è un riparo per il bestiame ai due lati mentre ai due capi vi sono delle vie pubbliche più altri confini.

Come noterete, qui si presentano in coppia “villa Arcora” e “illa Pretiosa”: un modo per indicare che siamo nella Pretiosa ma dal lato di Arcora, cioè un villaggio praticamente a ridosso degli archi dell’Acquedotto? Potrebbe essere questo un indizio della antica starza poi diventata Palazzo Gaudiosi? Chissà…

Comunque, in questa pergamena vengono presentati anche i vari raccolti che questa starza riesce a produrre in un anno (rendit terraticum in festa sancte Marie de mense agusti):

· 8 moggi di polloni (germogli)

· 11 moggi di miglio

· 5 moggi di grano

· 5 moggi di lupini

· 8 moggi di orzo

Per un totale di 37 moggi (aridi).

Abbiamo letto all’inizio che il nome “La Pretiosa” o “Preciosa” con cui questa zona veniva appellata nasce dalla bontà dei vini che qui si producevano. A tal proposito segnaliamo alcune pergamene enologiche: la prima risale al 1215 (n.1756, vol.III) e riguarda Rogerio de Gaudioso di Santa Anastasia a cui il Monastero da a lavorare 10 moggi di terreno della starza appartenente a detta Infermeria; la starza è sita in loco Sancta Maria ad illa Pretiosa, limitata da 3 parti dalla suddetta starza, poi dalla via pubblica e da altri confini.

Al Monastero verrà corrisposto ogni anno un quarto delle derrate alimentari prodotte insieme a vino greco e latino.

Una altra pergamena, datata 1230, riguarda ancora membri della famiglia Gaudioso (Gaudioso “padre” e Iacobo). Qui la rendita è di 5 salme[1] di vino greco x moggio, 1 pollo e 2 quarti di victualio[2]. Sapendo che quel terreno concesso era ampio 7 moggi, il conto è fatto…

Altra rendita in vino greco la troviamo in una pergamena del 1261, frutto del lavoro di Riccardo Caraczulo de Summa al quale il Monastero assegna a lui e ai suoi eredi in perpetuo un intero pezzo di terreno nei pressi della chiesa di S.Maria Pretiosa, terreno che appartiene alla Infirmaria del Monastero. Nel terreno concesso vi è anche una vasca ed un riparo per il bestiame.

Altre tre salme di vino greco (oltre a frutta e ortaggi) debbono essere corrisposte annualmente al Monastero da parte di Thomasio Muzula e del fratello Riccardo, di Somma, per un pezzo di terra anch’esso appartenente all’Infirmaria del Monastero. Siamo nel 1270 (n.1750, vol.III)

Sebbene comincino anni di mutamenti climatici importanti e la guerra tra Angioini e Aragonesi circa la divisione del Regno delle Due Sicilie si sta concludendo con vari “botti”, il vino greco la fa da padrone ancora nel 1300 (n.1718, vol.III), quando il monastero “concede a Petro de Graniano di S.Anastasia per se e i suoi eredi maschi un intero pezzo di terra in S.Anastasia, nel luogo detto la Pretiosa, a fianco di un'altra terra sempre lavorata dal detto Pietro, vicino alla via pubblica donde ha un ingresso e vicino un'altra terra lavorata da Iohannes de Osentia e Matheus Mutavinum e vicino alla starza vostra che è lavorata da Iacobus de Gaudioso.”. Nelle condizioni di affitto, il Monastero aggiunge anche del denaro e armenti al di là del vino greco.

Infatti, un tareno d’oro (oltre a vino greco e latino) viene richiesto in una pergamena del 1300 (n.86, vol.I) a Pascarius de Gaudioso e ai suoi eredi che gestiscono due interi territori alla Preziosa. Nel 1303 una importante pergamena (n.1809, vol.IV) ci dice che “Iohannes de Osenza da S.Anastasia vende per due oncie d'oro all'abate Roberto del Monastero di S.Severino e Sossio, il territorio detto "ala Pretiosa" indetta città di S.Anastasia.”. Il territorio in questione era “emptio” ovvero non coltivato nonostante la presenza di capi di bestiame e dei relativi ripari.

In questo momento storico il Monastero individua una politica di acquisto del territorio sfruttando lo stato di abbandono in cui versa. Non solo: vengono incluse delle clausole di riscatto in caso di abbandono da parte dell’affidatario!

Uno di questi “abbandoni” è menzionato in una pergamena del 1311 (n.1685, vol.III) e costò 2 once d’oro a favore del Monastero per un pezzo di terra che circondava le due chiese di S.Maria “ala Pretiosa” e di S.Nicola.

L’abbandono era dovuto ad una mancanza di lavoranti.

Qui di seguito una lista generica della tipologia di prodotti coltivati nella “Preziosa”, desunti dalle pergamene relative a questo territorio:

· polloni (germogli)

· miglio

· grano

· lupini

· orzo

· frutta

· ortaggi

· bovini

· ovini

· vino latino e vino greco, saccapanna[3]

______________________________________________________________________

[1] 1 salma di vino = 175 litri

[2] Victualia: viveri, provviste.

[3] Alias mezzovino: si ottiene aggiungendo acqua alla vinaccia e lasciandola fermentare


sabato 6 luglio 2024

Il Sistema delle “Masserie della Pretiosa” nel contesto dei luoghi arcoriani - uno studio (II) - La Pretiosa fra i secoli X e XII

Per avere una idea dei riferimenti nell’area, sfrutteremo una mappa redatta dal prof. Luigi Verolino, sulla quale sono indicati 2 punti: in giallo la Massaria Preziosa, in rosso la starza/grancia Tavernanovese.

Notare il percorso dell’Acquedotto Claudio e, in verde, la strada che da La Barra/Ponticello conduceva a Somma Vesuviana.

fonte: prof. L. Verolino

In questa mappa vediamo che l’area - dove si sarebbe sviluppato secoli dopo il villaggio tavernanovese - era a cavallo tra i casali di Terczo e Porchiano; in particolare, l’area a sinistra dell’attuale via Filichito si trovava in territorio di Terczo mentre quella a destra apparteneva a Porchiano. 

La prima pergamena[1] dove si menziona “La Pretiosa” risale al 1181 ed è importante poiché racconta della volontà della Congregazione dei Monaci di S.Severino & Sossio di Napoli che, in particolare, con l’abbate Pietro “...per ispirazione divina, si accingono a restaurare e a provvedere per la Santa Infermeria dello stesso monastero. Si provvederà ad offrire per questa Infermeria i beni stabili qui sottoscritti, cioè l'intera Chiesa di S.Severino, posta nel luogo detto Terzo, insieme con tutto il nostro cortile, che è accanto alla Chiesa stessa, insieme all'orto, al pozzo e all'insieme di due starze "maggiori" che si trovano nella stesso luogo: una affianco all'altra insieme agli alberi e ai loro frutti.
Andremo ad assegnare ancora a questa Infermeria una "clusura" di terra "maiore" di detto monastero, situato nel luogo Pretiosa, vicino ad Arcora; ed ancora un campo di terra situato in località San Trifone[2] e non con tutti i terreni, fattorie e pascoli di detto luogo; e una chiesa, detta di San Paolino, situata nello stesso luogo come è contenuto nel detto strumento della detta Infermeria.
” (n.1749, vol III).

In pratica, per poter fare fronte alle necessità verso i religiosi ammalati e la povera gente, alla istituzione Infermeria vengono allocate queste “risorse” su cui basarsi per poter espletare il proprio compito.

In particolare, in una altra pergamena (n.182, vol.I), vengono menzionate altre proprietà del Monastero di modo da poter individuare al meglio la posizione della Chiesa di S.Severino (che l’abate Pietro aveva donato al convento): questa si trovava “in villa Terzo del Mulino dello stesso monastero, con l'intero cortile che si trova nei pressi della stessa chiesa, con caseggiati ed orto, un pozzo di acqua sorgiva, insieme a due interi pezzi di terra nello stesso luogo Terzo. I confini sono i seguenti:

  • da una parte c'è un via carrabile dove c'è la terra di San Sebastiano, dall'altro lato vi sono le terre di detto monastero xxxxx ed anche il fiume dello stesso monastero e lo stesso Mulino delle Osene(?) con il fiume Rubeolo.
  • dall'altro capo vi è un altro fiume che ha il nome de illa Curte così come vi è lo stesso mulino.
  • dall'altro capo vi sono altre terre vostre delle quali mantenete il controllo.
Vi è inoltre un'altra pezza di terra - chiamata clusuria - i cui confini sono i seguenti:
  • da una parte vi è la via publica, dall'altra parte c'è terra, poi di nuovo un'altra via pubblica dove c'è l'ingresso più altri confini
Quindi, se nella prima pergamena vi è il “bel discorso” che induce i monaci a ristrutturare l’infermeria del Monastero, nella seconda ci possiamo rendere conto delle prime strutture che albergavano nella zona della Preziosa, in particolar modo nel territorio di Terzo abbiamo:
  • 2 mulini, 2 chiese, 2 starze grandi
  • 1 pezzo di terra chiamato “clusuria” più altre due terre.
  • 1 pozzo di acqua di risorgiva

[1] Attualmente, quasi tutte le pergamene a riguardo sono raccolte nei 4 volumi della Prof.ssa Rosaria Pilone (L’antico inventario delle pergamene del Mon.ro dei Santi Severino & Sossio di Napoli, 1999)

[2] San Trifone dovrebbe essere un luogo tra Ponticelli e San Giovanni a Teduccio (in loco Paczigno).

sabato 29 giugno 2024

Il Sistema delle “Masserie della Pretiosa” nel contesto dei luoghi arcoriani - uno studio (I)

Generalità

Nel contesto dei territori della cosiddetta area arcoriana, il sistema delle “Masserie della Pretiosa” ha avuto un ruolo rilevante nella economia agricola locale fin dal XII sec. in quanto nella sua ampia estensione rientravano anche altre strutture di rilievo, quali stalle, abbeveratoi, granai, etc.

Un primissimo riferimento cartografico al toponimo della “Pretiosa” lo ritroviamo in una copia seicentesca delle cosiddette Mappe Aragonesi, i cui originali risalgono alla metà del Quattrocento.

Un secondo riferimento – anch’esso cartografico e molto dettagliato – può essere considerato la “Pianta fatta nell’anno 1695 di molte Massarie della Pretiosa”. In questa pianta, redatta dall’agrimensore Joannes D’Iorio per conto del Monastero dei SS.Severino&Sossio di Napoli, vi è un ammontare di territorio pari a 390 moggi nel quale sono disseminate varie entità strutturali e campestri (oltre alla Taverna nova, le Massarie "Fontanelle alla Pretiosa", quella de "I due Sellari alla Pretiosa" ed altre censite nel 1694 dal fidato agrimensore del Monastero Joannes d'Iorio, tutte nel territorio di Pomigliano d'Arco) e, fra queste, alcune di pertinenza della zona tavernanovese.

Nel testo “Afragola Feudale” [Rif. 1] si legge:

Secondo G. A. Rocco presso questa contrada [La Preziosa, NdA], in diocesi Nolana, vi era un oppidum o un castellum, sulle rive del fiume Veseris, ed aveva lo stesso nome; fiume che secondo il Rocco va identificato con l’attuale La Bolla. Nel sec. XVII vi era una masseria, dello stesso nome, dei benedettini di S. Severino da dove nel 1615 per vie sotterranee fu fatta venire acqua ai mulini di Napoli. La masseria era nota anche col nome Preziosu

Facendo un piccolo passo indietro, molti storici del XV sec. riportano come nel 1497 Ferrante II Re di Napoli, permutò con il Monastero di S.Severino & Sossio un’area antistante l’attuale borgo di Mergellina alias Mergoglino. Ai monaci fu dato al suo posto proprio “il territorio detto la Pretiosa, così detto per la bontà de’ vini che in esso si fanno, in modo che in questo vi ha il monasterio di San Severino una buona rendita. Da questa Pretiosa viene l’acqua in Napoli, come si disse, e si forma il fiume Sebeto.” [Rif.3]

In questo studio, attraverso l’analisi di alcune pergamene – la più antica che riguarda La Pretiosa risale al 1181 - proveremo a tracciare le dinamiche insediative del sistema Pretiosa con un particolare riferimento all’area proto-tavernanovese.

La Mappa Aragonese

In un interessantissimo saggio di Aniello D’Iorio, "Una Comunità in cerca di equità: il catasto onciario di Licignano in Terra di Lavoro nel Settecento" (2022), viene proposta questa carta su pergamena, copia di un’originale del periodo aragonese (la si fa risalire all’incirca al 1460, [Rif.2]), raffigurante il territorio tra Magdalone e Nola, in cui Liciniano confina, con Acerra, Pumilliano d’Arco, Castello Gullielmo di Cisterna.

fonte: A. D'Iorio

L’area di territorio denominata La Preciosa [cfr. Rif.3]è annotata, come detto, in basso a sinistra.

La “madre” di tutte le Massarie della Pretiosa

Nella cartografia sotto, risalente al XVII secolo (Massarie "Pretiosa e Spina" presso Pomigliano d'Arco. - Sec. XVII. - Joannes d'Iorio) viene illustrata l’area della Massaria appartenuta al Monastero di S.Severino e Sossio che ha dato il nome al “sistema” Pretiosa. Di fronte a questa area viene indicata l’area (Massaria) Spina che, in un tempo forse più antico, era delegata proprio a Pars Massaricia.

I territori di pertinenza raggiungono i 120 moggi (90 la Pretiosa e 30 la Spina).

fonte: Archivio di Stato di Napoli

Basandoci dunque sull’orientamento di questa mappa, con l’ingresso della Pretiosa praticamente verso nord, e sugli assi viari, proviamo a riportare questa mappa all’interno di una cartografia dei primissimi anni dell’800:

fonte: Istituto Geografico Militare

Il risultato è il seguente:


Osserviamo qui come dalla Masseria Pretiosa arrivava un strada carrabile fin dentro l’area tavernanovese, peraltro ben visibile in un’altra cartografia, quella del 1695, dove è ben visibile il punto di arrivo della strada carraia, ovvero sulla "Strada Regale":

fonte: Archivio di Stato di Napoli

Tutto questo per indicare che l’estensione del Sistema Pretiosa comprendeva anche l’area sulla quale, nel 1621-1622, sarebbe sorta la cosiddetta “Taverna nuova dei Padri Cassinesi”.

<continua>

____________________________________________________________________________

[Rif. 1] C. Cerbone, D. De Stelleopardis – “Afragola feudale: per una storia degli insediamenti rurali del napoletano” – Ist. di studi Atellani, 2004.

[Rif. 2] Cfr. F. La Greca “Il mistero delle mappe aragonesi”, ed. Licosia, 2023

[Rif. 3] Come riportato in A. Pinto, “Raccolta Notizie, Parte 2.2: Luoghi (Fuori Del Centro Antico) Per La Storia, Arte, Architettura Di Napoli E Dintorni” – 2023, il nome deriva “per la bontà de’ vini che in esso si fanno” (cit. sec. XV).





sabato 15 giugno 2024

Le strade arcoriane: ipotesi di sviluppo (III)

 

La via Neapolis Abellinum e le sue adiacenze (sec.XV - XVII)

Nella ricostruzione sopra presentata, viene raffigurata in maniera macro quelle che erano (e che in parte resteranno) delle strade arcoriane.

Si rende presente Casalnuovo, che comincia a ripopolarsi intorno al 1480 (a breve distanza dalla ormai distrutta Arcora) a cura di Angelo Como (Cuomo), che ancora prima di avere il benestare da parte di Ferrante d'Aragona comincia a costruire alcune case e un ospizio (hospitale) ad uso dei passeggieri (cfr. "Dell'armi, ouero insegne de i nobili. Scritte dal signor Filiberto Campanile...").

In questo senso si potrebbe anche leggere il percorso (ininterrotto) da via Filichito fino ad Arcora (via Arcora) e della estensione di via Casamanna verso quest'ultima (non dimentichiamo che in via Casamanna, alla fine del XIV secolo vi era la Massaria dei Galiota e le proprietà del Monastero delle suore Benedettine del Convento di S. Maria Maddalena di Napoli, che certamente avevano interesse ad evitare le aree paludose della zona della Bolla).

Nel 1559, ci sarà l'inizio del rifacimento della Strada Regia delle puglie su mandato di Pedro Afan de Ribera, duca di Alcalà e vicerè di Catalogna e di Napoli. A questo intervento seguirà, nel  1622, un allargamento della strada da parte del Duca di d'Alba, al secolo Antonio Álvarez de Toledo y Beaumont de Navarra.

Dopo il terribile terremoto ed eruzione del Vesuvio del 1631, il nuovo Vicerè di Spagna Manuel de Acevedo y Zúñiga, conte di Monterey, rifà nuovamente la Strada delle Puglie.

riferimenti:

A. Silvestri - "La baronia del Castello di Serra nell'età moderna (parte prima)",1993
C. Ebanista - "Il santuario martiriale di S. Felice a Cimitile/Nola (secoli IV-VII)" - 2019
"L'armi, overo Insegne dei nobili, scritte dal signor Filiberto Campanile", 1610

domenica 2 giugno 2024

Le strade arcoriane: ipotesi di sviluppo (II)

Le strade arcoriane - sec. XIII

 












Nella seconda metà del Duecento, comincia la bonifica delle paludi della zona di Terzo e fino alla cittadella di Casoria. 

La zona della cittadella era denominata S. Pancrazio (S. Paneratium) ed apparteneva anche essa ai monaci cassinesi di S.Severino e Sossio (rif. Pesce G. - "Casoria: riscostruire la memoria di una città" - Oxiana, 2006).

Questa bonificazione fece sì che alcuni tratti dell'antico percorso della via Nolana che percorrevano tali paludi ripresero a funzionare discretamente.

Al culmine di queste bonifiche, Carlo I d'Angio comincia la realizzazione della Strada Regia delle Puglie con l'intento di facilitare il trasporto del grano dalla Puglia verso la Capitale Napoli.

Per cui il tratto di via Filichito che andava verso Arcora cominciò ad essere una alternativa percorribile nel mentre la Strada Regia delle Puglie veniva completata. Il fatto che la via Filichito potesse non solo portare verso Pomigliano via Licignano ma anche verso Arcora, la troviamo nel testo del Comune di Casalnuovo di Napoli, PUC 2019 -Relazione EL01: 

"Il casale di Taverna Nova si sviluppò a seguito della fondazione ed espansione dell'antico edificio che sorgeva all'incrocio tra la strada Regia delle Puglie e la via Arcora - Filichito, che collegava l'antica Archora con il territorio della Bolla"

 Di fianco a questa considerazione si dovrebbe considerare una ulteriore ipotesi, suffragata da altra mappa, che nel XIV secolo via Casamanna incrociava via Arcora attraversando la Strada Regia delle Puglie...

Ma questo è un altro articolo...Buona Domenica!

sabato 25 maggio 2024

Le strade arcoriane: ipotesi di sviluppo (I)

Nel post "Via Filichito antico tratto della via Nolana" pubblicato un mesetto fa, avevamo tracciato, con l'ausilio di una generica e artigianale "mappa", un primo approccio a quella che era la viabilità arcoriana intorno al primo secolo, sull'asse Napoli-Avellino.

Facciamo ora un passettino più avanti, con l'ausilio del saggio di Carlo Ebanista "Dall’Antichità all’età moderna" (2012) - che potrete agilmente scaricare a destra nell'elenco dei testi - proviamo ad immaginare cosa ci suggerisce l'autore in questione, ovvero che questo "tracciato, noto nel medioevo come via antiqua e in età moderna come Strada regia, Cammino o Consolare di Puglia, si sovrappose nel tratto iniziale alla via Neapolis-Abellinum che non è menzionata esplicitamente da geografi e cartografi antichi, ma la cui esistenza è comprovata da testimonianze letterarie ed epigrafiche. Paolino di Nola, nell’epistola 29 composta nella primavera del 400, descrive il viaggio che Melania Seniore compì da Napoli, dov’era sbarcata di ritorno dall’Oriente, a Nola; il testo, ricco di particolari sul superbo corteo di parenti e amici, costituito da carrozze ondeggianti, cavalli ornati di falere, carri dorati e numerosi cocchi, allude, senza alcun dubbio, alla via Napoli-Nola che Paolino chiama impropriamente Appia"

via Neapolis-Abellinum (V-X sec.)

"A testimonianza della continuità d’uso della strada Neapolis-Abellinum, sia pure con le inevitabili modifiche e deviazioni, le fonti medievali indicano come via antiqua il tratto che da Napoli conduceva a Nola; un documento del 944, relativo al territorio di Pumilianum foris arcora (attuale Pomigliano d’Arco), menziona, infatti, la via antiqua, que dicitur Arenarum."

Teniamo sempre presente che man mano che il traffico cominciava ad aumentare sul nuovo tratto, le più antiche strade perdevano di importanza e quindi di manutenzione specie in quei tratti che non attraversavano centri abitati.
Alla fine del X secolo, quindi, possiamo peraltro ipotizzare uno sviluppo di strade carrabili da e verso il villaggio di Arcora, nel momento in cui lo sviluppo della zona arcoriana, ricco di acque e di paludi, cominciò a produrre ricchezze con i suoi mulini.
E' chiaro che le eruzioni del Vesuvio degli anni 472, 505 e 512 avranno modificato non poco il territorio e certamente per ciò che riguarda le vie di comunicazione (vedi la strada su menzionata Arenarum - via Arenaria - chiamata così perchè probabilmente piena della sabbia dei lapilli accumulata nelle vecchie eruzioni).

Alla prox. puntata.
Grazie per le visite.




sabato 11 maggio 2024

Via Zi Carlo, qualche altro aggiornamento...

 In un post di 5 anni fa scarsi (lo potete recuperare qui) abbiamo costruito alcune ipotesi sul toponimo legato alla via denominata Zi Carlo (o meglio ZiCarlo...), scoprendo che esisteva anche una masseria con lo stesso nome, Massaria Monte ZiCarlo.

Adesso, grazie ad una cartografia risalente al periodo 1862-1876 scopriamo una ulteriore traccia:


il ponte SiCarlo - scritto proprio con la S e la C maiuscole. 

Questo ponte si trovava a Licignano e consentiva di superare un corso d'acqua, ben evidenziato in quest'altra cartografia, sempre del XIX sec.


Sovrapponendo la prima immagine con una veduta aerea della zona, ci accorgiamo del posizionamento di tale ponte (via Lagno se si chiama così ci sarà un perchè...):


A questo punto, è importante sottolineare come la "S" sia diventata "Z" e questo è certamente argomento per gli studiosi di fonetica e di diacronia. Ad ogni modo, il ponte serviva per attraversare la zona del percorso scoperto dell'Acqua del Carmignano, veicolata dal beneventano verso Napoli intorno al 1629.

Poi, volendo lanciare una idea, possiamo tirare in ballo Sicardo V Principe di Benevento, longobardo, che possedeva la vicina Acerra negli anni 832-839 e che pose sotto assedio Napoli nell'835.

Grazie per l'attenzione...

P.S. - A detta degli studiosi, i longobardi "strizzavano" la lettera S con Z...

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